cookie

Home

le 20 tesi d'arte

Arte bizantina

1966 - testo e disegni di
                              Ivonne Favro

mausoleo Galla Placidia     -    Ravenna

                     
Con Galla Placidia, che nell'esercizio del regno tempera il disperato rimpianto per il marito Ataulfo ucciso a tradimento dai suoi nel 415, entra in Ravenna un romanticismo sanguinoso illuminato da un'ambizione fattiva, altamente impregnata di misticismo.
L'impero declina e la nuova sovranità mette ogni sua ricchezza nella magnificenza religiosa, espressione massima dell'arte bizantina.
            E' stupefacente il numero di chiese in una piccola città come Ravenna.
            Non si edifica in proporzione ai fedeli, ma in base alla loro appassionata religiosità.
La capitale adriatica viveva una specie di gara con l'Oriente nel desiderio di non essere sorpassata da Bisanzio che nel 330 aveva preso il nome di Costantinopoli e lo tenne fino al 1453.         I tre committenti: impero romano, chiesa e barbari, spesso in collisione fra loro, convergevano però su una sola cosa: nell'amore della splendidezza, della fastosità, della sfarzosità e della magnificenza. Questa ansia appariva tanto più intensa in quanto i monumenti quasi si toccavano l'un l'altro, da farci chiedere dove mai esistesse l'esercito e dove vivesse il popolo. Le verdi campagne che separano oggi Ravenna dal mare dovevano essere ultrapopolate nel tempo in cui il porto di Classe accoglieva genti e merci da tutte le parti del mondo allora conosciuto. Fra questa popolazione dobbiamo porre gli artisti, alcuni venuti da fuori, come i mosaicisti che Teodorico fece venire da Roma, ma altri del luogo, radicati nella città a far nuove scuole. Quindi il personaggio importante per l'arte ravennate è il re che ha dato il nome a tanti monumenti, il vicario dell'impero, Teodorico (454-526 prima reggente dei Visigoti dopo Galla Placidia, poi re degli Ostrogoti).       Per verità, parlando di arte, la personalità del re barbaro si mescola con quella del suo alter ego, colui che lo rappresentò in seno alla cultura cristiana e romana, Cassiodoro (485-580).

      Teodorico e Cassiodoro        
essi formano nel governo artistico una persona sola. Ma quando venivano emanati editti per l'incolumità dei monumenti, quando si organizzavano le comitive per la protezione della città monumentale, quando si esaltava l'architettura dell'impero con le meravigliose volte, i muri immani, non parlava il barbaro, parlava il latino Cassiodoro.
Già agli inizi del V secolo, con la presenza di Galla Placidia in Ravenna, principessa dotta e intelligentissima nonchè figlia di Teodorico, si dà inizio ad una serie mirabilissima di opere architettoniche, veri scrigni racchiudenti all'interno valori inestimabili d'arte. Primo di questa serie oltre al San Giovanni Evangelista, è il mausoleo di Galla Placidia. Non è comunque il vero mausoleo visto che la degna erede di Teodosio si fece costruire altre due dimore funebri, una a San Paolo di Roma, dove venne tumulata nel 450, e l'altra in San Aquilino in Milano. Per quanto riguarda l'architettura nulla ci forza ad uscire dalla stessa Ravenna dato che l'iconografia non presenta novità importanti e la muratura ha caratteri simili a quelle delle altre province italiche.
Per i mosaici è ovvio che, avanti lo stanziarsi della corte, non si potesse dare mano d'opera, ma è facile pensare donde venisse a un cenno dell'imperatore senza disturbare i bizantini: Roma prostrata dal sacco del visigoto Alarico (370-410) doveva sovrabbondare di disoccupati pronti a portarsi dove fossero chiamati dai committenti.
I maggiori monumenti cristiani dell'Oriente mediterraneo dovevano essere noti a committenti e artisti e potevano trarne idee e spunti. Le decorazioni architettoniche arrivavano già lavorate, come oggi avviene per i marmi di Carrara esportati all'estero. Capitelli, transenne ed anche colonne venivano sbarcate sul lido adriatico già belle e pronte. E' questo l'unico contributo veramente documentato dell'intervento costantinopolitano a Ravenna.
          L'esterno del Mausoleo    

Il mausoleo è una piccola costruzione a croce con volte a botte, nel punto di incrocio delle due braccia ha una cupola a calotta, nascosta all'esterno da un rivestimento cubico coperto da un tetto a spioventi. Per la natura del suolo, il sacello è affondato nel terreno per la profondità di un metro, nonostante questo inconveniente l'impressione che produce è ancora grandissima.
L'esterno della costruzione è di materiale laterizio frammentario, tenuto assieme da malta a base di calce bianca o lapillo che nelle prime costruzioni è disposta a strati sottili, poi sempre più alti e mescolati con mattone rosso tritato. Materiale povero in confronto al finissimo laterizio imperiale romano. Ma l'architetto dà a questo muro un principio di ritmo e di chiaroscuro mediante la caratteristica decorazione di archetti congiunti da lesene. L'inspessimento che ne deriva in alto giova al saldo posare della falda del tetto e basterebbe questa sola ragione costruttiva per dire l'importanza del nuovo motivo. L'attenzione dell'architetto si riporta dal di dentro al di fuori verso ciò che in seguito diventerà il linguaggio proprio del romanico. Sistemi di nicchiette, colonnine, loggette praticabili, finte e vere gallerie saranno solo variazioni di questo tema fondamentale. Lungo le braccia della croce la muratura è ad arcatelle cieche. Queste ultime, profilate sul fondo, riquadrano le nude pareti e scandiscono il ritmo costruttivo del piccolo edificio accentuando il senso di robustezza che gli è tipico rendendolo più evidente. Ci appaiono quindi non soltanto come motivo decorativo, ma come elementi di valore statico, quasi contrafforti destinati a controbilanciare la spinta delle volte a botte e come ossatura robusta per sostenere il peso delle coperture.
La cupola racchiusa in un tiburio quadrangolare, ha nell'interno dei vasi vinari vuoti, anforette che percorreranno i tubi apparecchiati nelle successive cupole. La forma impostata a padiglione è modellata, come sono tante cupole dell'età imperiale di Roma. Il senso di questo piccolo edificio è essenzialmente plastico; i suoi spigoli sono taglienti, la sua composizione a blocchi semplici, quasi di solidi elementari, disposti a contrasto così che ne viene esaltato il valore di massa. Si pensa all'architettura romana delle torri e delle cinte fortificate anche se per qualcuno degli elementi architettonici del piccolo
edificio è possibile trovarne di simili in Siria. In pianta, un braccio della costruzione, precisamente quello in cui si apre la porta d'accesso, è leggermente più lungo degli altri, così che la planimetria si riporterebbe al tipo delle chiese a croce latina, ma vi è in questo sacello un tale senso di organicità e di robustezza, una tale unicità plastica che ben può considerarsi un edificio a croce greca. La luce penetra all'interno da piccole finestre aperte nell'abside, nei bracci corti e nella navata anteriore allungata: una luce bassa che tiene in ombra le volte e dà loro mistero.
                        Interno      
All'interno c'è uno strato di smalti che rivestono cupola e pareti.
Nella volta, su sfondo azzurro, ci sono margheritine e fiorami con i calici bianchi e rossi. Il mosaico della cupola è pur esso a fondo azzurro, ma tutto cosparso di stelle d'oro. Nel mezzo vi si accampa una croce, pur essa d'oro, fra i simboli dei quattro evangelisti. Nelle lunette di fronte all'ingresso è San Lorenzo a lato della graticola, in quella al di sopra della porta c'è il Buon Pastore tra le pecorelle, nelle lunette in fondo alla crociera coppie di cervi affrontati.

L'impressione è di ricchezza e di fasto, l'azzurro cupo e misterioso dei fondi dà risalto ad improvvisi bagliori. Il mosaico ci appare veramente come un pesante tessuto cosparso di gemme e tramato di pagliuzze d'oro, questa coltre nasconde e annulla la perentoria plasticità dell'architettura semplice e chiara dell'esterno. Gli angoli taglienti, le linee decise che limitano le masse squadrate e schiette che all'esterno danno un senso di tanta semplice potenza costruttiva, qui scompaiono del tutto. Questa impressione che ci è data da questa apparenza che è in contrasto col senso di precisa e concreta determinazione costruttiva dell'esterno, può giustificare il termine di orientale e forse di bizantino attribuito al mosaico.

Quando poi da questa impressione passiamo ad un esame più accurato dei singoli elementi riuscendo ad individuare in questa miracolosa sinfonia cromatica i diversi temi, ci avvediamo che nella decorazione delle volte, nei fregi che incorniciano le scene, negli stessi tipi di Santi e del Buon Pastore ritornino elementi che ci sono già noti nell'arte romana più ancora che in quella ellenistica.

Lo stesso vigoroso plasticismo delle immagini che risaltano sui fondi determinano che le figure vengano ad acquistare un carattere ben distinto e personale che richiamano aspetti dell'arte classica.
Il Buon Pastore così mite e solenne nello stesso tempo, più di qualsiasi altra immagine di questo sacello ci riporta verso l'arte ellenistica. Egli qui ci appare come il più legittimo, per quanto lontano, discendente dell'antico Hermes greco, sereno e pomposo con occhi malinconici e smarriti.
                sarcofago      

Ma queste immagini già vivono in un mondo che non è più quello reale e determinato, nel quale eravamo abituati ad incontrarle, qui vagano in regioni misteriose. Tuttavia il colore, l'ebrezza cromatica, il fasto, l'oro, non riescono ancora ad annullare del tutto l'antica logica realistica, la passione per la forma concreta, talvolta l'imitazione del vero.
La decorazione musiva è divisa nettamente in due parti: abside quadra e transetto su intonacazione calda di rosso e oro; navata su intonacazione di bianco, azzurro e verde.
Si potrebbe pensare ad una interruzione dei lavori se non avessimo lo stesso contrasto nel Battistero degli Ortodossi con l'intento scenico: le parti più cupe in basso, le più luminose in alto.

Di certo si cominciò a lavorare dal fondo, perciò il mosaico detto di San Lorenzo (altri vi scorgono il Cristo porta-croce) dovrebbe essere il primo eseguito. Il rosso delle fiamme, le gemme dei libri sacri nell'armadio, la veste candida del misterioso personaggio che incede con la croce sulle spalle danno una chiarità viva che sta bene in un pannello posto dietro l'originario altare.
La luminosità si propaga più tenue nelle lunette dei bracci laterali, dove cervi d'oro si accostano alla fonte dell'acqua, ad illustrazione del noto salmo del levita esiliato: "come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio".

La cupola, rappresentante il cielo stellato su fondo oro con una aurea croce al centro, tutta raccolta nella zona calda, contrasta con la parte anteriore rivestita nella volta di un motivo tessile azzurro-verde (mosaico a tappeto). L'occhio viene così condotto al capolavoro di tutto il cielo, il Cristo Buon Pastore, stupendo ancora oggi, malgrado i molti restauri non sempre perfetti.

Questo lavoro prova quanto fossero vive le riminiscenze dell'arte ellenistica in questa società mista di eleganze raffinate e di una qualsiasi nostalgica ricerca di primitività barbara.
                Il Buon Pastore          

La torsione della figura del Cristo deriva da rilievi classici. Egli porta la croce pastorale come se portasse una lancia. Il pallium gettato sulla spalla sinistra ondeggia attorno alla persona rompendo lo splendore della veste d'oro. Il volto è maestoso, pregno di quell'idealità un po' generica proprio dell'ellenismo asiatico che non differenzia il tipo maschile dal femminile.

Eppure nella fluenza della chioma bionda, nello sguardo intenso rivolto verso un oggetto invisibile, come spesso avviene nei quadri viventi, questa figura è veramente un Cristo e non un efebo, un giovinetto.

Insicura è la posizione delle pecore, ma è probabile che fin dalle origini fossero tutte rivolte al Redentore per un effetto simbolico ben comprensibile.

Le rupi dai netti profili come anche le spaccature alla base di questa scena rendono allo stesso tempo la drammaticità e la staticità.
Vai a vedere le 20 tesi di Storia dell'Arte, dal VII secolo a.C. all'arte contemporanea
torna al top