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le 20 tesi d'arte

Arte contemporanea

1966 - testo e disegni di
                              Ivonne Favro

                    Giacomo Manzù

                     
Giacomo Manzoni, con lo pseudonimo artistico di Manzù, è probabilmente lo scultore italiano che gode di maggior popolarità, ma non è popolare perchè artista facile che l'uomo della strada si illude di capire di primo acchito nella sua evidenza rappresentativa. Lo è perchè la qualità del suo genio creatore di forme espressive è tale da trovare una coincidenza tra la cultura plastica moderna, anzi attuale, un modo di sentire schietto, pervaso di bontà, di simpatia umana, d'amore radicato nella tradizione cristiana.
In altre parole, l'impegno del suo stile, la complessità dei problemi figurativi da risolvere, gli intimi dibattiti della coscienza morale e artistica, la tensione della fantasia sono in lui assorbiti, chiariti e semplificati da una straordinaria facoltà di sintesi che si risolve in un linguaggio di immediata comunicazione.
E' una facoltà propria degli artisti sommi, posseduta al massimo grado dagli artisti del Rinascimento, i quali, fatte poche eccezioni e contrariamente ai maestri dell'età moderna, furono quasi sempre ammirati e capiti dai loro contemporanei.
Non si può parlare dell'arte di Manzù, di tutta la sua arte anche quella che ci ha offerto a partire dal 1938, la celebre serie dei "Cardinali" e dei "Vescovi", senza considerare la sua coscienza di cristiano, la fede religiosa dell'undicesimo figlio del povero calzolaio e sacrestano del Convento di San Benedetto, nato a Bergamo il 22 dicembre 1908, cresciuto in un ambiente che egli rivede tra i suoi ricordi d'infanzia "un piccolo cortile nel quale ascoltando i corali delle suore, cominciai a seguire le mie immagini" con le cerimonie del culto svolte sotto i suoi occhi come uno spettacolo.
Forse proprio da quelle visioni sgorgò lo spirito di tolleranza e di lieve ironia, ma anche di inquietudine morale che è stato in lui notato da vari critici.
Per questa serie dei "Cardinali" vince la medagli d'oro alla Biennale di Venezia del '48.

Il tema religioso visto da Manzù, nella duplicità della persona umana e divina del Cristo, che alla realtà soggiace e di essa muore e con essa rinasce, è il significato riposto delle "Crocifissioni" e delle "Deposizioni".

Egli rifiutava l'iconografia tradizionale delle tre croci e dei consueti astanti e, introdotti altri inattesi personaggi di solito igniudi, oppure Nelle "Deposizioni" ridotta la scena ad un corpo inerme calato con una fune da un altro igniudo (questo tema tornerà nella Porta di San Pietro) rifacendolo discendere come una forma mortale, ha voluto ridurre il sacrificio divino al massimo della terrestrità, senza sminuire il sublime significato religioso, anzi accentuandone il valore simbolico.
In fondo, come Dio, non poteva sicuramente morire.
            Susanna      
Ma già l'artista aveva fatto parlare di sè nella "Annunciazione" del 1931, poi dopo un periodo di indecisione in cui diede vita al "Chitarrista", al "Re", allo "Angelo", ritorna da Parigi a Bergamo e superata questa indecisione in solitudine con la moglie, dà vita ai "Ritratti della moglie" del '34 e 35 che segnano una direzione che non sarà più abbandonata.

"Susanna" del '37 statua in cera, esempio di femminilità allo stesso tempo esile e morbida, sulle cui membra la luce scivola. Questa, anticipa il nudo di Francesca Blanc con la quale vincerà il premio di scultura alla Quadriennale di Roma nel 1942.
I "Ritratti della signora Vitali", "Silvia", il "David", la prima "Crocifissione" del '39, sono le superbe conferme della piena acquisizione stilistica continuamente perfezionata.

La mirabile "Bambina sulla Sedia", la serie delle "Danzatrici", la "Donna distesa", le varie "Crocifissioni e "Deposizioni testimoniano con l'approfondita insistenza sui temi, la fedeltà dello scultore alle proprie origini, al proprio linguaggio: fino alla "Porta di Roma".
Senza dubbio non si può non riconoscere nelle prime opere di Manzù un'influenza di Medardo Rosso, ma a partire dal "David" del 1938 non c'è più traccia di impressionismo rossiano in Manzù.
L'ultima opera di primaria importanza dell'artista è la "PORTA DELLA MORTE" in San Pietro, esito stupendo dei suoi raggiungimenti plastici.
Il progetto per questa porta, presentato al concorso del 1948, rielaborato per la seconda gara dell'anno successivo, accettato ufficialmente nel 1952, si trasforma in un decennio attraverso un ripensamento che si può definire la crisi della coscienza cattolica dell'artista. E' il passaggio della astrazione teologica (la sintesi figurata della storia conciliare, la gloria edei Santi della chiesa docente e discente, Mosè che scende dal monte, Cristoforo Colombo che pianta la croce nella terra del mondo nuovo, le conversioni dei barbari e degli infedeli, la morte in esilio di Gregorio VII del 1085 e il trapasso di San Francesco Saverio nel 1552) alla concretezza umana, al senso del dolore e del sacrificio, al dramma del peccato e della redenzione propri della vicenda umana del cattolicesimo.

E' la morte intesa come fatalità e purificazione, muovendo dalla Crocifissione e dal misterioso transito della Madonna sollevata in cielo dagli angeli, può essere quindi visto come il tema dominante.

Sul lungo bassorilievo nel rovescio della porta, Manzù evoca, per volere del Papa, la cerimonia di apertura del Concilio Vaticano II e la rappresentazione del papa morente immerso in una preghiera senza fine, testimonianza di gratitudine e di devozione dello scultore al pontefice che gli si era dimostrato amico e l'aveva compreso.
Scultore instancabile, molto conosciuto anche all'estero, muore a Roma il 17 gennaio 1991.
La modernità di Manzù consiste nella capacità di tradurre, in modo originalissimo, il linguaggio degli antichi maestri in termini attuali, ciò che dimostra che l'arte autentica non è rifiuto, rottura, sovvertimento, ma è invece evoluzione e accrescimento infinito di già riconosciuti valori.


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