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le 20 tesi d'arte

Arte Neoclassica

1966 - testo e disegni di
                              Ivonne Favro

          Sistemazione urbanistica P.za del Popolo - Roma

                     
Giuseppe Valadier è nato a Roma nel 1762 da una famiglia di origine francese, architetto e orafo ivi morì nel 1839.
Al Valadier spetta per primo l'ideazione della sistemazioneurbanistica del lungotevere con ampi spazi di verde. Membro della "Commission pour l'emblessiement de Rome" progettò anche la sistemazione del Foro Traiano, delle adiacenze del Pantheon e della fontana di Trevi.
Altre sue opere sono la ricostruzione del Duomo di Urbino, il progetto per il Palazzo Braschi, il restauro del ponte Milvio e le facciate di San Pantaleo e di San Rocco.
Il Valadier fu il più attivo architetto in Roma della fine del '700 e nel primo triennio dell'800.
Come tutti gli architetti neoclassici anche il Valadier accolse l'appello alla semplicità  della natura e al predominio della ragione, ricercando la razionalità  dell'edificio, quindi la chiarezza nella disposizione dei vani, nuove proporzioni, semplici forme, simmetrie di parti, infine nitore di di sagome e superfici nel trionfo della luce e dell'eleganza. Fu il primo grande urbanista moderno ed è giusta, anche se troppo sbrigativa, la definizione del Ciampi: "In mezzo a tanti sbilacchi principi, potè avvenirgli di mostrarsi indeciso tra l'antico, il palladiano e il francese e di aver fatto il greco con la parrucca in capo". Qusto non tien conto però del valore delle sue opere, della sua dottrina e del suo gusto per le cose nuove in contrasto con la tradizione e l'ambiente in cui lavorava, infine, lo zelo della passione e dei posti in tutto quanto intraprendeva. Qualità  eccelse codeste che ce lo fanno ammirare.
Giuseppe Valadier portava il codino, vestiva all'antica, era ancora uomo del settecento, ma aveva idee nuove e nell'interno delle sue fabbriche ricercò anche soluzioni pratiche e comodità  che fino ai suoi tempi venivano da tutti trascurate. Chiari ci appaiono i suoi concetti circa il restauro che era un fatto di ordine morale, un lavoro di critica, di intima e rispettosa intuizione dell'opera d'arte. Fu insomma la personalità  più significativa e moderna del mondo architettonico romano del tempo in cui il Canova teneva il campo nella scultura ed aveva fama grandissima in tutta Europa.
Sul finire del '700 a Roma era molto sentita la necessità  di sistemare convenientemente il grande spiazzo tra il colle del Pincio, allora coltivato a orti e vigne dai frati di Santa Maria del Popolo e i prati sulla sinistra del Tevere, com'era dominato dall'Obelisco erettovi da Domenico Fontana per ordine di Sisto V e in cui confluivano le tre strade diritte e divergenti di Ripetta, del Corso e del Babuino che, come un tridente si affondavano nel vivo della città.
Un primitivo progetto del Valadier contemplava una piazza trapezoidale e una sistemazione palladiana delle fabbriche ai lati, ma le difficoltà incontrate connesse oltre all'esproprio dei terreni dei frati di Santa Maria del Popolo, il cumulo di discussioni, proteste, disegni relativi e collegati alla risoluzione della grande impresa si accavallano e si incrociano fra il 1810 e il '13 fin quando cioè messa da parte la prima idea del giardino sul Tevere, ebbero inizio i lavori che dovevano poi condurre alla soluzione attuale.
Nel frattempo furono inviati da Parigi a Roma due architetti Berthauld e De Grisors per risolvere, in accordo alle autorità locali, alcuni quesiti connessi agli abbellimenti della città.
Non che a Berthauld soprattutto, gran pratico come era di problemi di giardini e di edilizia, si debba negare il contributo di acconci consigli alla miglior soluzione dei problemi, come quello più importante: l'abolizione della cancellata del giardino verso la piazza, infatti avrebbe limitato il gran respiro derivante dalla doppia esedra che il Valadier aveva chiaramente visto e progettato.
Gran merito va anche dato al Valadier per aver salvato nella sua sistemazione, senza lasciarsi vincere dalla facile ambizione di imporre nell'ambiente da lui creato, nuove costruzioni dominanti, tutti quegli elementi architettonici, edilizi ed urbanistici che il passato già vi aveva posto con un ordine che oggi, per merito suo, sembra logico e spontaneo. Ciò perchè egli, sistemando la piazza, la collina, i terreni verso il Tevere, aveva conservato, come fulcro del
      complesso sistema, l'Obelisco di Sisto V e l'asse che congiunge la porta del Popolo  
all'imbocco della Via del Corso. Immaginandone poi un altro, aveva organizzato gli spazi che ne risultavano equilibrandoli due a due, con edifici simmetrici, vasti seppur non dominati e raccordati con le grandi masse di verdura che lasciano però pieno sviluppo ai loggiati sovrapposti della grande prospetttiva del Pincio.
In tal modo il Valadier otteneva un nuovo ambiente di carattere unitario, organico e di un misurato equilibrio, solennemente armonico, accogliente e grandioso quale Roma non ha più saputo creare dal tempo in cui Gian Lorenzo Bernini aveva elevato il colonnato di Piazza San Pietro a metà del 1600.
Sebbene la sua sistemazione possa essere collegata a soluzioni spaziali e prospettiche già attuate da architetti del '700, l'aver pensato a dar valore alle grandi masse di alberi dominanti è il suo particolare merito specie se lo si considera in relazione allo spazio assegnatogli.
La Piazza del Popolo al principio dell'800 era veramente la grande sala d'ingresso alla città papale ancora compresa entro la cinta delle mura Aureliane: una città tutta di travertino e di mattoni bruni, dove ai viandanti era
più facile trovar ristoro all'ombra di una selvetta di colonne che presso un ciuffo d'alberi. Dopo tanta aria e tanta luce della immensa ondulata campagna, quel fresco giardino incombente sulla piazza assolata che apre a riceverti le sue immense braccia, serviva a graduare un contrasto altrimenti troppo stridente e a evitare uno stacco troppo netto fra la campagna che era appena fuori della bella porta cinquecentesca e l'interno della città col suo accalcarsi di tanti palazzi e di tante chiese.
Un'opera bella la cui gestazione fu tuttavia molto laboriosa come dimostrano i disegni preparatori e alla cui risoluzione concorsero non solo le esperienze del Valadier architetto edile, ma anche le conoscenze del Valadier intelligente e curioso di cose nuove e di quanto contemporaneamente si andava facendo nelle altre città d'Italia e fuori.
Anzi Giuseppe Valadier, che teneva tanto all'origine francese della sua famiglia, che era tanto soddisfatto quando si sentiva dire che assomigliava a Luigi XVI e che forse, per coltivare tale testimonianza, ancora vestiva all'antica portando nel 1810 ancora il codino, uno degli ultimi di quella età rivoluzionaria, lui che era sempre stato tanto curioso delle cose di Francia e che giovanissimo s'era spinto sino a Marsiglia progettando anche un viaggio fino a Parigi, avrà certo avuto notizie, anche solo attraverso disegni, stampe o descrizioni, delle nuove grandi imprese edilizie ed urbanistiche che avevano già trasformato in una moderna metropoli il nucleo centrale della capitale dei francesi. Dovette anzi averle studiate perchè qui in Piazza del Popolo,
a bene intenderla nello sviluppo dei suoi temi, ve ne è un riflesso
abbastanza evidente, che alla romanicissima piazza in fondo in fondo rimane una certa aria alla francese, una certa aria stile impero, segno caratteristico dei tempi e indizio, fra i primi a Roma, della voga cosmopolita del gusto.
Forse contribuiscono quelle leonesse accovacciate per far da fontana ai piedi dell'Obelisco di Sisto V, i gruppi posti sul primo ripiano delle esedre, la forma stessa a foglie di palma delle due grandi fontane che con la loro curvatura, opposta a quella delle mura a cui si appoggiano, generano un vivo e originale moto di linee e di masse.
Vi è poi il ricordo di certe soluzioni edilizie parigine, quali quella, per esempio, di Place de l'etoille. Ma qui a Roma la natura gli offriva di poter creare qualche cosa di più che una variante di quelle soluzioni. Lo spunto cioè ad una invenzione nuova che egli subito sviluppò graduando a terrazze il prospetto della collina tagliata a picco e fu una mirabile alzata d'ingegno, un colpo d'aria, un capolavoro.
Quando verso sera il sole scende all'orizzonte dietro la cupola grande di San Pietro investendo coi suoi ultimi raggi il gran prospetto a terrazze
 del Pincio e accende di riflessi d'oro gli archi, le balaustre, i marmi, le statue e le folte chiome dei lecci, dei cipressi e dei pini che  s'affacciano sulla grande piazza azzurrina, vien fatto di pensare che, forse sì, i famosi giardini di Babilonia dovettero essere altrettanto  belli, tanto che chi li vide li pose tra le meraviglie del mondo.



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