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le 20 tesi d'arte

Arte dal Caravaggio al Tiepolo

1966 - testo e disegni di
                              Ivonne Favro

                      Pietro Longhi - Venezia

                     
Sconosciuta rimane l'origine del soprannome Longhi, Pietro nasce a Venezia nel 1701 da Alessandro Falca e muore, sempre a Venezia nel 1785. Sicuramente è documentato il nome Pietro Longhi già nel 1732. Ancor giovinetto entra nella scuola di pittura di Antonio Balestra, fra le più famose a Venezia nell'inizio del settecento, per poi frequentare, su consiglio dello stesso maestro veronese, la bottega di Giuseppe Maria Crispi a Bologna.
Dopo il soggiorno bolognese, di cui non si conoscono i termini cronologici, la sua esistenza si svolge serena nella città natale rispecchiando un temperamento mite e alieno da grandi ambizioni.
Del 1730, circa, è la sua prima opera documentata, la grande Pala del presbiterio della parrocchiale di San Pellegrino a Bergamo, la cui stanca e affaticata maniera barocca, sulle tracce dei grandi decoratori veneziani del primo settecento, doveva caratterizzare la
benedizione di giobbe e l'incoronazione della Vergine dell'Oratoriondi San Biagio a Verona con alcune tele veneziane smarrite.

L'8 luglio sposa Maria Rizzi dalla quale ha il 12 giugno 1733 l'unico figlio Alessandro futuro insigne ritrattista. Di fianco un suo ritratto fatto a Contarini da Mula, a Rovigo, ricco di colori graduati con finezza crepuscolare.

Nel 1734 firma e data gli affreschi raffiguranti la Caduta dei Giganti dall'Olimpo nello scalone di Palazzo Sagredo a Venezia. Poi nel 1737 è iscritto per la prima volta alla "Fraglia" dei pittori veneziani dove il suo nome appare fino al 1773.

Dopo la prima scena di vita veneziana di sicura datazione, il Concerto delle Gallerie dell'Accademia di Venezia del 1741, la produzione di pittura "di genere" longhiana è documentata nel suo svolgimento da numerosi dipinti datati e databili con sicurezza. Verso il 1746 esegue gli affreschi delle pareti interne della Cappella della Madonna di Loreto e San Pantalon.

Nel 1750 Carlo Goldoni, in una raccolta di poesie edite per le nozze di Grimani-Contarini, dedica al pittore un sonetto che inizia:
"Longhi tu che la mia Musa sorella
chiami del tuo pennel che cerca il vero ..."
alludendo al fatto che entrambi rappresentano la realtà attraverso le proprie arti.
Il 13 febbraio 1756 è eletto fra i primi accademici scelti sotto la presidenza del Giambattista Tiepolo.
Nel 1763 è proposto alla direzione dell'Accademia di disegno e di intaglio istituita dalla famiglia Pisani nel Palazzo di Santo Stefano per l'educazione di Almaro Pisani, ma sarà sciolta nel 1765 per la morte improvvisa del giovane patrizio.
Solo nel 1780 cessa di insegnare all'Accademia, vi aveva preso parte con assiduità e devozione partecipando anche come consigliere alla riunione del 5 aprile 1779 nella quale fu eletto accademico Antonio Canova appena ventiduenne.

Muore nella sua casa di San Pantalon l'8 maggio 1785.
          famiglia Sagredo (1752)        
In questo olio su tela di 60x50, uno dei tanti dedicati alla famiglia Sagredo, abbiamo, in basso a sinistra i nomi dei rappresentati. Cecilia la moglie, Marina la figlia con un nipotino e Caterina, la seconda figlia, con le due nipotine.
In queste composizioni non è tanto la definizione dei singoli individui, della loro fisionomia e della loro diversa psicologia che interessa l'artista, quanto la resa di "un'atmosfera" e di un ambiente sempre ricreato con spirito acuto, a mezza strada tra la satira e la contemplazione bonaria e sorridente.

Delle prime opere di Pietro Longhi prevale un retorico barocchismo con cui cerca di inserirsi nella grande tradizione decorativa sulle tracce del Balestra, di Sebastiano Ricci e del Dorigny.
Unica eccezione è la decorazione ad affresco della Santa Casa di Loreto, dove i gruppi di Madonne e Santi di delicata lievità pittorica poco meno inferiore a quella dei ritratti di Rosalba Carriera, dove conservano intatta la intima e fresca poesia delle piccole scene di vita quotidiana.
Trovò però la sua strada nell'osservazione attenta, arguta e persino ironica nella fresca rappresentazione di scene di vita veneziana del tempo. Comunemente il Longhi viene detto il Goldoni della pittura, ma i suoi quadri non sono soltanto da considerare come graziose e ben riuscite rappresentazioni del tempo, perché sarebbero privi di valore estetico se in questo solamente consistesse il loro interesse, ma sono come opere d'arte sempre completamente riuscite in cui il pregio aneddotico è superato dal valore pittorico, dalla raffinatezza del gusto con cui i'autore avvicina tra loro i colori e dispone la composizione con ricordi, qua e là, dell'illuminismo del Crespi.
Non estranea fu certamente la conoscenza degli Olandesi e dei Fimminghi del Settecento e della contemporanea pittura di costume europea soprattutto francese.
Nel nuovo genere di pittura, come per il Canaletto, lo studio del vero da parte del Longhi ha il più valido ausilio nel disegno, ma il bagaglio di appunti che accompagna il grandissimo vedutista veneziano in lunghe e solitarie soste sotto la luce immobile
      Matrimonio del 1756 dei giorni più solatii per i "campi" e le calli di Venezia, entra invece con il Longhi nelle sale e nei mezzanini in penombra delle case patrizie e borghesi, nei raccolti locali alla moda dove ristagnano l'odore di caffè, importato fin dal 1570, e il profumo delle dame raccolte nell'ombra discreta dei portici del Palazzo Ducale per fissare i momenti della vita di ogni giorno. E certamente sempre aperto e rinchiuso tra una battuta di spirito, una impertinente osservazione, una "ciacola".
In scene come il Concerto, ma anche nell'Indovino dal lume discreto ma concentrato, con i movimenti studiati anzi fermati nell'azione come se obbedissero ad un ordine, o forse quasi nell'attesa che l'ordine scocchi, ben si possono riconoscere anzi chiamare con lo stesso nome dei personaggi vivi del teatro del Goldoni.

Il loro personale carattere si distingue solo per un esame attento della scena.

Molti sono i mestieri raffigurati nei quadri del Longhi: la bottega dello speziale, la scuola dei buzzolai (ciambelle), la strolega (chiromante), gli alchimisti, la venditrice di frittelle, il cavadenti, la modista, la filatrice......
              il ciarlatano      
Piccoli nobiluomini e dame di provincia, abati, pedagoghi, serve, balie, rampolli, non nella pompa retorica di addobbi lussuosi, ma adombrati di una pacata e morbida luce in apparenza monotona, ma variatissima nelle sottili individuazioni di caratteri e di umori dei personaggi sotto gli attributi del ceto e dell'età con le lievi azioni della società del tempo che si svolgono tra gli sguardi ora ambigui, ora ironici come nella scena "la caccia all'anatra", assai raramente affezionati alla servitù.
Di ogni minuta parvenza colorata di un mondo chiacchierino, pettegolo, nulla va perduto nella fresca resa pittorica rivolta nel delicato picchiettato dei colori chiari e teneri come pastelli, armonicamente accostati con sensibilità squisita.
Nell'atmosfera festosa dei convegni mondani, in quella popolare delle botteghe, con maggir frequenza nel quieto tepore di antiche dimore, fra stoffate pareti con il sommesso brillio degli ottoni e dei vetri, con i toni dei mobili patinati dal tempo, delle suppellettili, dei ritratti degli avi, tutte queste dame risaltano racchiuse nelle ampie "andrienne" come variegate, enormi farfalle, circondate in ogni momento della giornata dall'omaggio dei cavalieri serventi, abati galanti, vecchi protettori ed equivoche "bautte", ovvero le maschere. Sembra quasi di gustare con gli occhi le sottili osservazioni del Parini.

Una cronaca paziente e tenace in cui il commento ironico è leggero come una bolla di luce subito spenta, uno sprazzo che descrive le solite azioni della giornata: la toeletta, la opaca conversazione, il concertino, i giochi in casa, la passeggiata in piazza alla bottega del caffè, la visita del medico. I volti possono essere sciocchi ma non insipidi, è solo la moda o il contegno a renderli uniformi e un poco all'apparenza imbambolati.
Ad un attento esame le vanità sono chiare e appaiono ferme e le soddisfazioni minute, le veneziane si presentano con l'acconciatura ben riuscita, forse un nastro sgargiante per denunciare un movimento d'umore.
Una società che si consuma lentamente, che vive di quel tono dimesso senza eroismi e senza fracasso proprio di chi tiene "alla reputazione".
Sembrano attori perfettamente responsabili della loro parte con gesti controllati, se parlassero parlerebbero con voce suasiva e raramente sforzata. E' proprio in queste scene che la cauta ma chiara osservazione del pittore così vicina alla recitazione goldoniana, per così dire la salva dalla fugacità dell'irrevocabile momento teatrale: la scena diventa e rimane esattamente reale.
Nelle deliziose miniature di costume è rifiutata ogni nota troppo spregiudicata, sfacciatamente piccante o sguaiata. Anche le attitudini più futili e meschine sono viste non con l'animo indagatore di un enciclopedista illuminato, ma presentate attraverso il vaglio di un bonario ottimismo da un partecipe e indulgente osservatore alieno da serie istanze sociali e morali o con idee rivoluzionarie, ma solo "incapace di rifiutare un pochino di umana simpatia" come nota il Moschini.
E' un'indagine portata a un'epoca e a un costume con garbata e cauta misura che nella tenerezza del colore e nella fresca vivacità della sceneggiatura si collega col teatro di Goldoni in una stretta comunità di intenti e di risultati.



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