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le 20 tesi d'arte

arte del 1500 nord Italia

1966 - testo e disegni di
                              Ivonne Favro

         Loggetta di San Marco - Venezia

                     
Jacopo Tatti detto il Sansovino nacque a Firenze nel 1486, fu apprendista di Andrea Contucci detto il Sansovino da cui apprese l'arte e ne ereditò il soprannome, morì a Venezia nel 1570 all'età di ottantaquattro anni.
Artista completo, al Sansovino architetto l'ambiente veneziano potè apparire, più di ogni altro, propizio al suo gusto, per la sua operosità di scultore e pittore, la tradizione coloristica lagunare non potè non giovargli nel risvegliare e suscitare in lui particolari doti di "puro lirismo veneziano" non ancora turbato da sopravvenute tendenze di accademismo fiorentino. Nella creta e nella cera, l'architetto principe della Venezia cinquecentesca qui rifugiatosi dopo il Sacco di Roma del 1527 e rimasto sino alla sua morte, maestro di ritmi, classico nell'espressione di calma e fiorita beltà, rivaleggia coi grandi maestri del pennello veneziano per il rapido tocco e la vivida fantasia.
Certo lo schietto discendente della tradizione disegnativa fiorentina fu conquiso dalla grandiosità delle forme michelangiolesche, ma più che verso la massa soverchiante e l'immane forza scultorea del Buonarroti, egli tese verso gli effetti di ricchezza decorativa, d'intensità drammatica, di scioltezza pittorica che l'arte veneziana sempre più nel tempo sviluppa.
Nella sua opera della Loggetta di San Marco , scultura e architettura compongono un insieme di calma bellezza. Venne costruita nel 1537 fino al 1549 attaccata alla base del Campanile, iniziato nel IX sec. e rimaneggiato fino al XIV secolo. Dietro un parapetto a balauste sorretto sotto ogni pilastrino da classici modiglioni, s'aprono tre coppie di colonne corinzie con tre vaste arcate. Fra le colonne quattro nicchie con le statue di Minerva-Pallade, Apollo, Mercurio e l'allegoria della Pace; sopra le nicchie rilievi entro specchi, fra i capitelli brevi festoni e nei pennacchi degli archi figurano le vittorie.
Semplice è la divisione dell'attico marmoreo in origine ristretto alquanto agli estremi: tra le lesene binate, sopre le nicchie, specchi rettangolari con genietti porta-emblema, mentre sopra le arcate specchi più larghi con rilievi allegorici alternati a Putti. E' tutta una decorazione ispirata da motivi classici che la eleganza innata di Sansovino fa propri.
La statua della Pace richiama i tipi michelangioleschi di Lia e Rachele nella tomba di Papa Giulio a San Pietro in Vincoli, ma temperata da mesta grazia muliebre. La massività, l'atletica forza delle statue di Michelangelo si trasforma per virtù del ritmo dolcissimo che piega il torso gagliardo e si riperquote nel cader languido del manto e delle braccia. Par mediti sui lutti delle guerre, mentre dà fuoco alle armi con la faccia riversa, Pallade-Minerva nella parte opposta è soffusa d'ombre, mentre Mercurio le è vicino.
Nell'interno della Loggia un frammento di decorazione in pietra grigia dimostra sino a qual punto il Sansovino risusciti il senso romano di massività nel rilievo:
figura un festone di frutti greve, denso, a fatica trattenuto da nastri che si appoggiano a un'alata maschera muliebre.
Ed ecco a contrasto lo Jacopo di questo frammento che par uscire da un'ara antica, modellare scherzando con agile stecca il sorridente gruppo di Madonna, Gesù e Giovannino, nell'interno della loggetta, guasto dalla caduta rovinosa del campanile che ha distrutto il piccolo Battista. Nella terracotta egli raggiunse una morbidezza, una facilità di movimento, una fluidità di pieghe non consentite dal marmo.
Il Velo, fattosi lieve, ondeggia; le chiome si crespano nell'aria; il tipo michelangiolesco s'ingentilisce, si schiara alla luce d'un fresco sorriso. Tondeggia il modellato nella figura del piccolo Gesù e l'occhio si vela di dolcezza; l'arco delle labbra semiaperto come se il respiro fosse sospeso, il gesto esitante e carezzevole, i riccioli disposti con grazia decorativa, il tutto si avvicina ai putti di Leonardo, tenero, delicato nell'atteggiamento di trepida carezza.
L'effetto pittorico è pienamente raggiunto dalla plastica di Jacopo Sansovino: la creta prende colore dal vibrare dei lumi sulle superfici dolcemente agitate e tutto il gruppo è coordinato nelle varie parti da quel tono caldo di vita, da tutta quell'affettuosa intimità.


Il campanile subì il primo fulmine nel 1489, ma continuarono nel corso dei secoli facendo sempre danni strutturali. Ci fu anche il terremoto del 1511. Divenne importante il 21 agosto 1609 con Galilei quando presentò al Doge e ai notabili il suo cannocchiale che i veneziani chiamarono "cannon". Poterono vedere di giorno fino a Chioggia e oltre vedendo persino la facciata della chiesa di Santa Giustina a Padova.
Il campanile crollò completamente nel 1902 e venne ricostruito nel 1912 utilizzando, per quanto possibile, il materiale originale. Ricostruirono anche la Loggetta ma le facciate laterali furono ricoperte in marmo mentre prima erano in mattoni.
Nel 1932 installarono per il campanile anche un ascensore.



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