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le 20 tesi d'arte

arte del 1400 fuori Toscana

1966 - testo e disegni di
                              Ivonne Favro


               Tempio Malatestiano - Rimini
                     
Se col Brunelleschi (1377-1446) lo studio dell'antica Roma si presenta nella purezza greca e paleocristiana, con Leon Battista Alberti (1404-1472) la grandezza romana appare in tutta la sua autoritaria maestà.
Ambedue, illuminati da un forte genio personale, operano con decisi caratteri originali. Pur attingendo da Brunelleschi un chiaro senso di geometrica euritmia e di proporzionalità tra le singole parti, l'Alberti se ne distingue in modo nettissimo per la monumentale plasticità delle sue forme e per il solenne respiro dato alle ampie cavità spaziali delle sue fabbriche, da qui la sua conclamata romanità cui tuttavia è estraneo ogni atteggiamento retorico.
Nato a Genova, l'Alberti aveva compiuto i suoi studi nell'Italia settentrionale e ivi trascorreva la sua giovinezza quando, chiamato da Papa Eugenio IV, trovò in Roma la sua stabile dimora. Scrittore formatosi alla scuola umanistica, della quale egli stesso è esponente, sdegnoso, aristocratico per il dispregio che ha per tutti coloro che non operano con la mente, egli riassume e teorizza i suoi studi sull'antico e rende attuale l'insegnamento di Vitruvio (architetto e autore del corposo trattato De Architettura, 80 a.C.-14 a.C.), scoperto in quegli anni, codificandolo ed utilizzandolo per i costruttori del 1400 con l'aiuto della misurazione degli antichi monumenti.
L'Alberti è prima teorico e poi artista, nelle sue costruzioni si riscontra una certa discontinuità dovuta però soltanto alla varietà degli interpreti.
A Rimini, Sigismondo Pandolfo Malatesta nel 1447 affida la trasformazione della gotica chiesa di San Francesco all'Alberti in un Tempio dedicato alla contessa Isotta degli Atti sua amante. Egli non potè costruire ex novo il mausoleo dei Malatesta, ma dovette rispettare la planimetria a nave unica con cappelle laterali: tale Tempio però acquista, dal rivestimento albertiano, grandiosità e imponenza romana.
La facciata
si ispira all'arco riminese di Augusto, questa si presenta con quattro gigantesche colonne, posate sopra un monumentale zoccolo, per dividere la facciata in tre spazi occupati da tre archi.
  Particolari del portale centrale          
L'arco mediano domina sulla porta rimpicciolita e incassata nell'ombra della nicchia potente.

Spicchi di marmo chiaro e scuro trasportano sulla parete, ombrata dal potente sottarco, la severità dell'ornato geometrico. I due archi laterali, destinati a raccogliere i sepolcri, sono ora chiusi a fior di superficie dalla parete del Tempio, ma la medaglia di Matteo dei Pasti, coniata nel 1450 a gloria del rinnovatore della chiesa di San Francesco, ce li mostra sfondati anch'essi.
La facciata è incompiuta nel secondo ordine che doveva risultare di due archi rampanti destinati a sorreggere un fastigio curvilineo centrale, una cupola poi avrebbe dovuto coronare completando il rivestimento esterno del Tempio. Gravissimi danni subì il Tempio nel 1944 per gli intensi bombardamenti che fecero crollare quasi tutta la copertura.
La facciata, anche se schematica, traduce meravigliosamente nella sua potente ossatura il concetto glorificatore che ha ispirato l'architetto
nella costruzione. Il fianco della chiesa riminese è una sfilata di archi a pieno centro che si posano sui pilastri toscani, entro le nicchie sono collocati i sarcofagi rigorosamente squadrati, purissimi nella loro semplicità, formando quasi il terzo grado dello zoccolo gigante. Neppure le grandi arcate della fronte superano in maestà questo massiccio portico dai solidi pilastri e dai riposanti
archi. Vediamo forti pilastri toscani appunto spogli, poi ecco nell'ombra i sarcofagi tutti uguali e semplici; tra arco e arco troviamo sospese ghirlande di alloro come unico e solo ornamento ammesso nel suo significato di gloria.

L'interno di Matteo dei Pasti, non rispecchia fedelmente l'originario progetto per l'esuberanza ornamentale delle sculture.
Soprattutto menoma il risultato estetico di quella architettura la mancanza della massiccia cupola emisferica immaginata dall'Alberti.
E' tuttavia ancora possibile ricostruire l'idea primitiva osservando il motivo fondamentale che ricorre lungo le pareti dell'ampia navata che si ripete con lievi modificazioni nelle cappelle prossime alla porta, specialmente nella prima cappella di destra.
Una zona marmorea corre alla base e dalle mensole pendono scudi con il monogramma intrecciato di Sigismondo e Isotta.
Il piano delle cappelle limitato da eleganti balaustrate si interna nella navata senza apparente diminuzione di questa.
I caratteri albertiani impressi nella cappella dedicata a Sigismondo, pura fra le alterazioni prodotte dagli interpreti, si indeboliscono e appena si intravedono nel resto del Tempio. Dappertutto l'opera degli scultori, con ricchi fregi, con svolazzi distrusse la chiarezza albertiana nei suoi riquadri.
Anche Agostino di Duccio (1418-1481) operò nella decorazione plastica delle cappelle con figurazioni di Arti Liberali, dei segni dello Zodiaco, di Antenati, Reliquie e
Amorini. Questi, che nell'architettura subisce l'ascendente dell'Alberti con il suo monumentale classicismo, nella scultura ha uno stile arditamene pittorico e decorativo. Tuttavia il suo stilismo ha un che di fresco e piccante, soprattutto esplicito e musicale senso della linea rivelato nelle flessibili figure ammantate di veli trasparenti e leggeri.
Oltra ad Agostino un altro grande artista operò nel Tempio Malatestiano: Piero della Francesca (1412-1492). Un suo affresco mostra, su un limpido sfondo, Sigismondo dal profilo serrato, in ginocchio davanti al suo Santo protettore e patrono San Sigismondo, re di Borgogna e morto martire a Orléans nel 523.
Tale opera di Piero della Francesca si deve considerare di transizione alla formazione ultima del maestro, pur tuttavia egli, per il contatto che a Rimini ebbe con l'arte albertiana tradusse in termini intellettuali queste sue conquiste dipingendo la Flagellazione di Cristo improntata alla semplicità e chiarezza dell'umanista Alberti.

Dal 1809 il Tempio Malatestiano è stato chiamato Cattedrale di Santa Colomba ed è considerato come luogo di culto cristiano cattolico.
"E' certo che al Signore è grata soprattutto la purità e la semplicità dei colori come della vita, e non sta bene che nei templi vi siano cose che volgano l'animo dai pensieri della fede alle distrazioni, al soddisfacimento dei sensi"
                    L.B.Alberti - De Re Aedificatoria
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