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le 20 tesi d'arte

1386-1466 Donatello

1966 - testo e disegni di
                               Ivonne Favro

              Altare di Sant'Antonio - Padova

                     
Donato di Niccolò di Betto Bardi nacque a Firenze nel 1386 e morì a firenze nel 1466: fu chiamato Donatello.
Con Filippo Brunelleshi e Masaccio costituisce la triade che è alle origini della creazione della nuova arte rinascimentale pur essendo diversissimi tra loro per temperamento e individualità.
Donatello, già ai primi esordi, esce dalla tradizione gotica a cui sin da principio reagisce impetuosamente. Egli lavora nella bottega del Ghiberti e come qualità di aiuto, nel 1403, si esprime alla prima porta del Battistero. Qui dovette apprendere i segreti della tecnica della fusione del bronzo, con ogni probabilità veniva anche in contatto col Brunelleschi col quale compì il suo primo viaggio a Roma.
Nel periodo 1407 lavora due statuette di Profeti per la porta della Mandorla a Santa Maria del Fiore, il David del Museo Nazionale e il San Marco di Orsanmichele.
La prima opera compiuta è del 1416 nel San Giovanni Evangelista del Duomo e nel San Giorgio destinato alla nicchia di Orsanmichele.
In questo periodo, dal 1415 al 1421 gli si attribuisce soprattutto la trattazione della testa piena di realismo e di energia espressiva del "Poggio" Bracciolin, un profeta per il Duomo. A questo stesso stile appartiene il Geremia, probabilmente del 1423, e l'Abacuc, meglio conosciuto con l'appellativo di "Zuccone" che il maestro lavora tra il 1427 e il '36. Fra le opere di questo periodo significative sono: il rilievo della Flagellazione al Museo di Berlino e quello in bronzo del Banchetto di Erode per il fonte del Battistero di Siena. Assolutamente nuova quest'ultima per il disporsi delle figure e delle scene su dei piani prospettici. La luce qui non è chiamata a dissolvere le forme ma a graduarne la consistenza. Seguono i Putti e le Virtù sempre per il Battistero senese, l'Atis e il David del Museo Nazionale di Firenze e proprio quest'ultimo presenta grossa novità come primo tentativo di nudo a tutto tondo.
Nel 1425 Donatello stringe società con Mechelozzo per far fronte alle numerose richieste; con questa collaborazione inizia il lavoro per il tabernacolo di Orsanmichele e il monumento funebre all'antipapa Giovanni XXIII in marmo e bronzo dorato, alto m.7,32 nel Battistero di Firenze.
Con Michelozzo e Pagno di Lapo Portigiani, Donatello collaborò pure al monumento del Cardinale Brancacci per Sant'Angelo a Nilo in Napoli. Molto belli sono i bassorilievi del sarcofago raffiguranti la Vergine che ascende al cielo e quello della consegna delle chiavi. Ancora all'età giovanile appartengono San Ludovico e San Giovanni. Queste due figure accentuano le ricerche donatelliane della espresssività della forma che tornano ad affermarsi nella Madonna di Casa Parri.
Al suo secondo viaggio a Roma avvenuto nel 1433 non si vogliono solamente attribuire studi degli antichi capolavori, ma anche opere sue in una pietra tombale di San Giovanni Crivelli in Santa Maria in Aracoeli, che il tempo ha purtroppo corroso, e un tabernacolo del Sacramento nella Sacrestia dei Beneficiati in San Pietro.
Tornato a Firenze inizia l'opera che gli diede grande fama, l'Annunciazione del tabernacolo in Santa Croce verso il 1435. Posteriori sono le centurie per il Duomo di Firenze e il pulpito di Prato iniziato però con la collaborazione di Michelozzo.
Un certo qual richiamo dell'arte pompeiana si nota nei quattro tondi con scene della vita di San Giovanni messi come decorazione nei peducci della volta della Sacrestia vecchia di San Lorenzo. Nei tondi raffiguranti la vita di Drusiana, il martirio del Santo e la sua assunzione al cielo, domina un rigoroso senso prospettico con intenso ritmo spaziale che anticipa quelle ricerche che saranno proprie del Bramante e di Raffaello nel periodo romano. Una più sentita ricerca espressiva caratterizza i rimanenti tondi con storie degli evangelisti. Tra questi lavori occupa un posto a sé il busto di San Lorenzo con caratteri pittorici che rendono incerto il giudizio di fronte al famoso busto in terracotta di Niccolò da Uzzano appunto per la secchezza nell'esecuzione che, anche nelle opere più realistiche del maestro, non si riscontra.


Chiamato a Padova nel 1443 il suo primo lavoro è il "Crocifisso" in bronzo per l'altare maggiore della chiesa del Santo a Padova, spiegato più avanti.
Altra sua grande opera è il monumento equestre a Erasmo da Narni detto il Gattamelata eretta sul piazzale stesso della chiesa del Santo. Compiuta nel 1447 dovette diffondere l'impressione di veder risorta sulla piazza di Padova, quasi come miracolo, una statua imperiale romana.
          L'altare del Santo    
L'Altare di Sant'Antonio, a padova, fu iniziato nel 1446, quando ancora i lavori della statua equestre non erano stati portati a termine; per questa ragione Donatello non potè attendervi che sporadicamente ed ebbe bisogno di circodarsi di una schiera di aiuti pur senza dover rinunciare alla direzione dei lavori e all'esecuzione delle parti maggiori.
Altare molto ricco, è sculturato davanti e dietro. L'originale andò distrutto sul finire del XVI secolo e la versione di oggi, molto discussa come disposizione, è dovuta all'architetto Camillo Boito nel 1895.
Nelle figure di "Angeli musicanti" eseguite dapprima, e come nelle quatro formelle coi simboli degli Evangelisti, fuse subito dopo, la mano pesante degli aiuti risulta fortemente evidente nelle teste inespressive, negli atteggiamenti sforzati dei corpi che mal si adattano al corpo che li contiene.
Due scomparti soltanto si possono attribuire al maestro:
a) quello dei due angeli cantori dinanzi a un libro aperto
b) quello che soffia nelle tibicine, con ogni forza nel suo strumento accompagnando il suono con lo sforzo del corpo teso.

Riguardo agli evangelisti i critici sono concordi ad attribuire a Donatello il Leone alato raffigurante San Marco.

Per gli altri Angeli valgono i nomi di Urbano da Cortona, Giovanni da Pisa, Francesco del Valente e altri che i documenti ricordano quali collaboratori validi a questa parte dell'altare.
          La Vergine           Evangelista e altri Angeli    
Donatello torna ad affermarsi nella ieratica immagine della Vergine posta al sommo dell'Altare tra le figure dei Santi che le fanno corona.
Questa figura se da un lato sembra preannunciare quella di Michelangelo a Bruges, d'altra parte si riconnette, nella
forma e nell'espressione, ad esemplari dell'età romanica.
Seduta su di un tono fiancheggiato da due sfingi, è in atto di sollevarsi e presentare il Bambino benedicente alla devozione dei fedeli mentre guarda impassibile e severa dinanzi a Sé, come una sacra icona. La nostra tradizione e le riminiscenze orientali si fondono in quest'opera chiusa, sintetica, massiccia e così diversa nell'espressione e nella struttura da quell'affettuosa intimità che troveremo poi nelle immagini quatrocentesche della Vergine.
Al senso costruttivo del gruppo, Donatello ha sacrificato ogni senso di umanità, sicchè questa sua immagine assume il significato di pura astrazione.

Mentre ben altri cimenti appaiono nel suo primo lavoro dell'altare, il "Crocifisso" domina il complesso delle statue e si erge al di sopra di tutto.
Nulla vi è di comune tra questa nobilissima immagine e quella lignea di Santa Croce in Firenze che di vari decenni la precede, alquanto sommaria nella resa e volgare nell'espressione. Il Cristo padovano è stilisticamente più definito rispetto all'altro, questo è di stupenda modellazione specie nella testa e nelle estremità (vedi immagine più sopra).
Se nel Cristo di Santa Croce Donatello si è limitato a studiare veristicamente un cadavere, qui a Padova ha dato a questo cadavere i contrassegni espressivi dell'Uomo-Dio: il bel volto che reclina sulla spalla è di dolcissima umanità, egli reca impresse le stimmate del sacrificio e di una suprema angoscia.
              I quattro miracoli del Santo                      
        Miracolo dell'Asina
Nei quattro rilievi dell'altare relativi alla vita del Santo, gettati in bronzo nel 1447, Donatello riprende e amplifica quelle ricerche spaziali che già si riscontrano nel Banchetto di Erode a Siena, pur volgendole ad effetti luministici. Son tutte storie affollate di figure con sfondi vari e complessi di architetture, chiamate a scandire lo spazio e a distribuire in superficie e in profondità gli elementi della composizione.
I racconti si svolgono con accento fortemente drammatico: figure e gruppi nella violenza degli atteggiamenti e, nelle espressioni, rivelano una tensione spirituale che qualche volta si fa spasmodica. Non vi sono più limiti definiti dinanzi a quel prorompere delle passioni. Le forme si inseguono e si accavallano mentre la luce, frangendosi sui piani ora levigati ora aspri del
bronzo, il tutto smorza, livella, trasfigura la resa plastica in un effetto squisitamente pittorico.
Il rilievo rappresentante il Santo che dà la parola ad un neonato perchè testimoni l'innocenza di sua madre, è di architettura più sobria rispetto ad altri, ma è anche uno di quelli in cui vibra, nel fluire della folla, un esasperato sentimento drammatico.
Più varia e più equilibrata è la scena, sul retro dell'altare, del Miracolo dell'Asina che si inginocchia dinanzi al Santo per ricevere l'ostia.
Anche qui si osserva un intenso dinamismo nelle parti laterali con il solito espediente dei grappoli umani per effettuare la limitazioe architettonica, ma le tre grandi arcature, capaci di profonde risonanze, accentuano e accentrano il numero dei piani dando respiro alla composizione e al tempo stesso la riempiono di luminosità.
      Miracolo dell'avaro       Miracolo del figlio pentito
Le altre due scene, quella del miracolo dell'avaro dove il Santo interviene al funerale dichiarando che nella salma manca il cuore per trovarlo poi nel forziere, e anche nel miracolo del figlio pentito di aver picchiato la madre, che per punirsi si taglia il piede, ma il Santo glielo riattacca, possiedono ambedue attori numerosissimi che si dimostrano in preda ad agitazione febbrile. Nella seconda il fatto avviene non più nell'interno di un edificio, ma in una pubblica piazza, ciò offre pretesto al maestro per intensificare le sue ricerche spaziali rappresentando di scorcio nel fondo, ai lati del campo, profili di fantastici edifici con figure sulle terrazze e lungo le pilastrate mentre la marea umana si placa al centro, attorno al corpo del miracolato.
Importante è riuscire a capire i vari personaggi, guardando l'altare nel suo insieme.
Il Cristo è al di sopra di tutto in posizione centrale, sotto, iniziando da sinistra, vediamo Santa Giustina martire del III secolo, San Francesco, la Madonna con il Bambino, Sant'Antonio e San Daniele ultimo Profeta dell'Antico Testamento. Ancora più in basso all'altezza del piano dell'altare troviamo a desta San Prosdocimo il primo vescovo di Padova, mentre a sinistra notiamo San Ludovico figlio di Carlo D'Angiò re di Napoli.         Sotto, ecco l'altare visto da dietro.
A Donatello appartengono pure i due scomparti della Pietà e della Deposizione, quest'ultimo posizionato dietro all'altare in posizione bassa e centrale. Ambedue esprimono una intensità drammatica che non ha l'eguale, ma più composta è la scena della Pietà dove si vede il Cristo fra due angiolini, esposto ai fedeli con il volto contratto per lo spasimo.
Violentissima è la Deposizione ove l'artista abbozzò in pietra figure al parossismo della disperazione, in contrasto al corpo esanime che viene calato nel sarcofago. Si tratta di due creazioni donatelliane che rimasero tipiche nell'arte posteriore delle quali si potrebbe particolarmente seguire la fortuna nel campo pittorico del successivo periodo.
L'ardente passionalità di Donatello ha ottenuto di vincere la materia fino a snaturarla, di raggiungere la massima trasfigurazione artistica.
Il Phatos è profondo nella forma più sobria e plastica, la tragicità si effonde invece nei gesti violenti delle figure, nell'agitarsi convulso delle delle masse preludendo all'ultima evoluzione donatelliana.
              Santa Giustina e San Francesco                        
      Santa Giustina       San Francesco
Terminati i lavori dell'altare nel 1450 Donatello passò a Ferrara, a Mantova, a Modena e forse a Venezia.
Nel 1456, chiudendo la sua lunghissima assenza ritorna a Firenze dove, nel 1461, attende ai pergami, ovvero loggette e pulpiti, ordinatigli da Cosimo de' Medici per San Lorenzo, ultima testimonianza della sua arte plastica e costruttiva.
Appartengono a questo ultimo periodo il San Giovanbattista in bronzo per il Duomo di Siena, la Maddalena in legno nel Battistero di Firenze e Giuditta che si trova dinanzi a Palazzo Vecchio.
La morte colse Donatello nel 1466. Fu sotterrato, informa il Vasari, nella Basilica di San Lorenzo vicino alla sepoltura di Cosimo de' Medici come egli stesso aveva ordinato a cagione che così gli fosse vicino il corpo già morto come da vivo sempre gli era stato presso l'animo. La gloria dell'uno si confonde con la gloria dell'altro. Con mezzi e con intenti diversi, ambedue hanno gettato le basi di una nuova era. Non è possibile cogliere in una formula la ricchissima personalità di Donatello, tanti e così impensati sono gli atteggiamenti della sua arte.
La sua personalità consiste nel duplice aspetto che assume di volta in volta la sua arte, da un lato una castigata ricerca formale che lo fa emulo degli antichi, dall'altro lato l'abbandono più fantastico al suo dono di creazione che lo porta a trasfigurare le immagini perché meglio esprimano il loro valore spirituale. Questi due aspetti della visione si sommano nell'opera di Donatello fino a raggiungere una meravigliosa interpretazione della vita, della vita umana in specie di cui l'artista riesce a penetrare le più intime profondità.
E' per questo che è tanto vicino all'anima dell'età moderna, questa sua ricerca della "forma espressiva", la sua ansia di penetrare il senso riposto in tutto quello che contempla, la sua potenza nel volgere la forma ad espressioni squisitamente interiori, il potere suggestivo con cui forma una
figura umana in quello che è il suo valore essenziale, sono tutte note che fanno di Donatello il più immediato precursore dell'età nostra.
Tale sua posizione di interprete e di innovatore si risolve in puri valori plastici di monumentalità nella quale si riassumono le aspirazioni degli scutori romanici e gotici finalmente liberate in una espressione che è il preludio alle moderne conquiste.

Donatello ha creato un'altra opera rivoluzionaria ideando un nuovo genere di rilievo poco aggettante detto "stiacciato" che dà l'illusione di una infinita profondità pittorica. Questo era già stato ottenuto fino ad un certo punto in alcuni rilievi greci o romani. Ma in questi casi la profondità vera e propria è all'incirca proporzionale alla apparente profondità dello spazio rappresentato: le forme in primo piano sono in rilievo molto alto, mentre quelle più lontane divengono progressivamente più basse, perché sembrano immerse nello sfondo del pannello. Donatello non si cura di tale rapporto dietro alle figure, il paesaggio spazzato dal vento consiste interamente di delicate modulazioni superficiali che fanno sì che il marmo prenda luce da angoli diversi. Così ogni piccola ondulazione è dotata di un potere descrittivo infinitamente maggiore della sua reale profondità e lo scalpello, come il pennello di un pittore, diviene lo strumento per creare sfumature di ombra e di luce.
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