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le 20 tesi d'arte

Pittura   del   1300

1966 - testo e disegni di
                              Ivonne Favro

Duccio da Buoninsegna   la Maestà - Siena

                     
Non in altra forma, quanto molto nella pittura, si rivelano le qualità e lo scopo più particolari dell'arte a Siena che la resero così differente dall'arte fiorentina, soprattutto integra nel proprio stile. L'attitudine ad attenuare le impressioni immediate del senso, il potere di filtrare i dati più concreti del visibile in volume, spazio, forma e luce per comporre un suo mondo in cui l'eco delle passioni giunge affievolito: il colore è una preziosa superficie, la profondità non si sente, la forma sembra dissolversi in lievi ritmi.

Alla fine del '200, Duccio da Buoninsegna (1255-1318) doveva rappresentare in Italia il termine più alto di eleganza, l'artista più al corrente delle mode orientali tanto da potersi considerare di educazione del tutto bizantina, ma nello stesso tempo quegli che più di ogni altro sapeva adattare il linguaggio pittorico neo-ellenistico ed esprimere un mondo con sentimenti italiani.

Dopo aver realizzato, nel 1285, una Maestà che i critici hanno identificato nella famosa "Pala Rucellai" per Santa Maria Novella di Firenze, che consiste in una tela verticale che raffigura la Madonna in trono con in braccio Gesù e con solo sei angeli accovacciati ai lati, Duccio si accinge nel 1308, alla composizione della Maestà per il Duomo di Siena, sua città natale.
Questa grande tavola orizzontale, dipinta sull'una e sull'altra faccia, è il segno ultimo e più alto della sua arte. Ora anche se sdoppiata, dal 1771, nelle due facce e con alcune parti minori mancanti come le predelle e le cuspidi, si può comunque immaginare quale fu un tempo. Il prospetto di questa Pala raffigura la Vergine con il Bambino circondati da una schiera di Angeli e di Santi.

          Maestà
Sopra, come affacciati ad un loggiato, vediamo i busti degli Apostoli, ancora più sopra, tra pinnacoli, ci sono delle tavolette triangolari con rappresentazioni della vita della Vergine. Sotto la Pala, la Predella era divisa in sette scomparti con episodi della vita del Redentore, mentre nel tergo della Pala, erano rappresentati, in ventisei scomparti, altri fatti della vita del Cristo.

Il punto di vista che pone assai basso il piano del dipinto accentuando lo sguardo del Bambino, avvicina al devoto l'immagine religiosa, essa non è più remota e lontana perchè nell'immaginazione di Duccio la Vergine è umile tra l'affettuoso coro degli Angeli e dei Santi. Riflessi dell'arte bizantina aulica sono negli angeli dalla regolare finezza dei volti, nel Battista e negli inginocchiati dallo ascetico fervore, ma, come il Bambino ha il suo infantile aspetto, tutto diverso dal bizantino, così nelle altre figure ogni tratto è modificato secondo una visione gotica.
Di fronte ad alcune rappresentazioni della Maestà, la critica si è lasciata travolgere dall'ammirazione per la sapienza illustrativa dei maestri celebrati come coltissimi narratori degli Evangeli secondo l'iconografia bizantina. Vi è invece in Duccio una qualità più profonda della cultura e della raffinatezza decorativa. E' una fantasia meravigliosa che si vale di tutte le esperienze antiche e nuove per la sua pura ricerca estetica. Essa è testimonianza dell'astrale bellezza mista di classicità e di orientalismo nei volti, del canone compositivo di armonia onde la stessa parete d'oro si alleggerisce come un velario prezioso e, non appena il tema lo consente, scompare affinché il paesaggio sublimi la figurazione e riprenda, nelle sue linee, il ritmo delle immagini.

Nelle altre parti della Maestà, meno vincolate dallo scopo religioso, Duccio spiegò la sua arte di narratore e di pittore.
                        Crocifissione      
A narrare ebbe molti suggerimenti dall'iconografia bizantina, ma pure dove li seguì più dappresso, come nell'orazione del Getzemani, nella Crocifissione, nella Deposizione, nella visita al Sepolcro, egli diede nuovo valore alle rappresentazioni con la sua fantasia cui i dati iconografici accettati furono occasione a dar prova di originalità. Le qualità pittoriche di Duccio si spiegano nelle piccole scene dove rilievo, spazio e colore formano una visione netta e dolce.
Il suo rappresentare la profondità, non si può comparare a quella di Giotto, né per intensità né per valore illustrativo. Spesso ha molta attraente evidenza: ora in vedute ricche di particolari, come nell'entrata a Gerusalemme, ora nelle linee serrate di ristretti scenari come nell'apparizione del Redentore agli Apostoli.
Il paesaggio pur quasi sempre composto con dati tradizionali, acquista valore per sé, non più semplice proscenio come in "noli me tangere" di Giotto. In queste rappresentazioni Duccio lo introduce come parte intima e suggestiva con i grandi alberi, con gli anfratti delle rocce.
Con Duccio nasce per la prima volta in Italia la "pittura di paesaggio", dopo i tempi lontani dell'arte classica.
Quel senso di atmosfera viva e vibrante che domina nei rilievi e nelle pitture ellenistiche, egli lo realizza come visione di un mondo che viene pian piano a determinarsi ai suoi occhi. Egli vuol collocare le sue immagini in ambienti ove lo sfondo abbia un valore ben determinato e non sia soltanto simbolo e elemento stilizzato di decorazione.
Grande importanza acquistano le mura e le case della città nella composizione dove il Cristo entra in Gerusalemme, ma anche le tre montagne scheggiate nel fondo della scena ove l'Angelo annuncia alle tre Marie la Resurrezione del Cristo.
Nella mirabile composizione delle Marie al sepolcro, Duccio trova il modo di rendere espressive le figure senza gesti, senza mosse eccessive: il Messo biancovestito, solenne come gli Angeli bizantini, siede a distanza sul sepolcro e annuncia col solo suo sguardo al gruppo delle ammantate di sauro. La distribuzione delle luci e delle ombre, l'equilibrio delle masse, dà a tutta la scena una solennità pura, tuttavia è profondamente animata per il ritmo del movimento.
Al disegno dei corpi rispondono le suggestive linee del paesaggio; ai toni delle vesti e delle carni rispondono le tinte del cielo e degli alberi. Immagini e paesaggio si fondono in un'armonia che rivela la profonda sorgente lirica dell'arte di Duccio, onde egli può creare l'atmosfera aristocratica della scuola Senese che si svolgerà nel '300 con ricche variazioni, ma sempre volta, sull'esempio del caposcuola, all'ideale unico e assoluto della bellezza.


              Qui sotto, lo schizzo della faccia retrostante la Pala.


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