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le 20 tesi d'arte

Arte greca arcaica

1966 - testo e disegni di
                              Ivonne Favro

     

Tempio di Zeus         a


Olimpia - Grecia

L'arte greca arcaica comprende il VII e VI secolo a.C. con la nascita della ceramica protocorinzia e della statuaria greca; l'arte greca inizia così il proprio autonomo cammino decretando la fine dell'arte geometrica.
A Olimpia a destra del fiume Alfeo, a 10 km dal mare Ionio, nella sede specifica dello svolgimento dei giochi olimpici, esisteva una zona sacra chiamata Altis sede dell'amministrazione e del culto con raggruppati edifici, templi e teatri e dove troviamo:
    il tempio dedicato a Zeus.
Il simulacro del Dio in oro, per le vesti, e avorio, per le parti nude, fu opera di Fidia (490 - 430 a.C.). L'architetto del tempio fu Libone e dopo 12 anni di lavori venne terminato nel 456 a.C.
Il sito Altis fu messo in luce dagli scavi inglesi del 1776, da quelli francesi del 1829 e infine da quelli tedeschi del 1875.



Il tempio di Zeus, indicato come I nella piantina, è costruito nel calcare conchiglifero durissimo della zona (Elide - Peloponneso), rivestito di stucco e dipinto; i frontoni sono invece di marmo pario (dell'isola di Paro) e gli acroteri (il vertice e gli angoli del frontone) sono in bronzo. Appoggia su quattro alti gradini rimanendo rialzato di tre metri.
capitello dorico: un cuscino schiacciato dalla tavola, cioè un comune parallelepipedo.
La pianta è simile a quella di Poseidon a capo Sunio dello stesso periodo, si presenta esastilo periptero dorico con 6 colonne sulle facciate e 13 sui lati, ciascuna con 20 scanalature. E' lungo 64,2 metri, largo 24,6 metri con un altezza di 20 metri.
La cella è divisa in tre navate da due file di colonne a due ordini dorici sovrapposti. Dovettero effettuare una trasformazione nel momento in cui collocarono la statua crisoelefantina di Zeus (ovvero composta da oro e avorio).
                             
Alla grande mole architettonica del tempio si adeguano i frontoni attribuiti, secondo Pausania che è la principale fonte per l'arte greca, a due scultori: Paionios di Mende e Alkamenes. A quest'ultimo, scolaro di Fidia, apparterrebbe il frontone occidentale, però il carattere stilistico dei due frontoni con 42 statue, Est e Ovest, è assolutamente unitario, della stessa mano si palesa anche la decorazione delle Metope, le formelle poste sull'architrave in alternanza con i triglifi, ovvero le formelle con 3 scanalature verticali che formano l'elemento decorativo dorico posto sopra le colonne. 12 Metope raffigurano le fatiche di Eracle, ovvero l'etusco Hercle o il romano Ercole, sempre la medesima figura e sempre il figlio di Zeus.
Nel frontone orientale, dall'entrata, vi è immobilità del presentimento prima della gara, mentre in quello occidentale vi è l'accanimento della lotta e il movimento delle statue mostra il superamento della rigidità degli antichi schemi.
Il frontone orientale rappresenta la preparazione di Enomao e di Pelope alla corsa che darà la morte al feroce re dell'Elide e la mano di Ippodamia all'eroe vincitore. Nel centro grandeggia la figura di Zeus, ai lati sono Enomao col volto oppresso da presaga tristezza con la moglie Sterope che gli porge ansiosa la tazza per le libagioni, ma anche Pelope severo ed Ippodamia turbata dal contrasto tra l'affetto verso il padre e l'amore per l'eroe. In questo gruppo di Dei, di eroi e di personaggi dominati dall'oscura legge del fato, si nota una solennità austera. Ai lati figure minori partecipano con atteggiamento ansioso alla scena come il vecchio accosciato oppure sfuggono alla tensione dell'ora come il fanciullo.
         
le Metope

Nella figura del vecchio posto dietro al carro di Enomao si vuole riconoscere il vecchio indovino della casa.
L'atteggiamento di tutto il corpo contribuisce a farne uno dei personaggi più espressivi della scena. La calvizie frontale e la prolissità dei capelli sulle tempie e sulla nuca sono qui un segno di vecchiaia al pari delle rughe sulla fronte. Ampli e flosci sono i muscoli pettorali e la massa molle del grasso e della pelle si accumula in flaccide pieghe al di sotto di essi. Un rude manto copre la parte inferiore del corpo e i piedi sono chiusi in spessi calzari. Il gesto della mano destra riportata alla guancia dà al vecchio un atteggiamento di preoccupazione e di tristezza, ma impotente egli sembra di fronte all'ineluttabilità del fato.

Contrasto mirabile e impressionante tra la figura del vecchio "V" e quella del giovane "G".
Al corpo flaccido si contrappone la sporgenza ossea e il sodo rilievo dei contorni muscolari, alla posizione riposata e dignitosa la noncuranza del corpo sdraiato per terra, alla testa senile piena di nobiltà un volto poco interessante, alla meditazione pensosa sull'avvenire la curiosità superficiale per l'azione presente. Ma le figure sono affini oltre che per la quantità di elementi, tra cui la trattazione della veste, per la tendenza sintetica propria di questo artista che vede e rende solo il necessario e proprio così fa reazione alla minuta e precisa arte arcaica.
                   
Nel frontone orientale vi è immobilità del presentimento, in quello occidentale vi è l'accanimento della lotta.
I Centauri, alle nozze di Piritoo, re dei Lapiti, accesi dal vino tentano di inpadronirsi della sposa e delle altre donne, ma ai tracotanti si oppone lo stesso Piritoo aiutato dai compagni e dall'amico Teseo. Anche qui l'artista ha collocato nel mezzo una divinità, Apollo, come simbolo della vittoria dell'ordine morale sulle sfrenate passioni. La scena è meravigliosa per movimento e violenza.
Apollo è al centro, mentre Piritoo e Teseo sono ai suoi lati. Agli estremi del frontone le donne sono sdraiate in cerca di riparo. Il tumulto delle passioni che è stato acceso dall'ubriachezza e che prorompe in un'aggressione equina contro corpi di donne e di giovani, viene a morire come un'onda senza forza ai piedi del Dio. Al di sopra della zuffa dominano il gesto del suo braccio disteso e la severità sdegnosa del suo sguardo. Egli è la purezza intangibile, egli è realmente Apollo quale l'ha immaginato in tanti suoi miti la religione greca: vendicatore e placatore. Egli è al di sopra di tutti gli umani.
Accanto al fermo pilastro dell'Apollo vindice "A", troviamo l'orgoglioso volume della regina Deidamia "D" che non pare abbattuta neppure dal tocco della brutale carezza del Centauro. Vi è anche la statua della fanciulla Lapita che, abbrancata per le chiome dal mostro cade in ginocchio con la stessa straziante gracilità delle vergini e può affidare alle cadenti pieghe del panneggio, l'espressione dello spirito nel dolore e dell'annientamento del corpo.
Le differenze dei due frontoni dipendono dalla natura del soggetto diverso, nell'uno vi è trepidazione davanti ad un avvenimento decisivo, nell'altro la confusione di una lotta ardente, ma appartengono ad un'unica scuola artistica.
         
Il corpo di Apollo è semplice nella sua struttura, le divisioni muscolari del petto e dell'addome hanno la regolarità di un tracciato geometrico.
Rigida è la sua posizione: la gamba destra è solo leggermente sciolta dal peso del corpo, il braccio e la testa sembrano essersi volti angolarmente di scatto.
La Clamide, il corto mantello, ha solo larghe pieghe senza coprire la nudità. Sulla testa i capelli sono resi con pochi e netti rilievi e il volto ha tratti e contorni rudi per le palpebre spesse, le labbra tumide e dischiuse. Eppure, nonostante questa sobrietà di elementi, nessuna figura dell'arte antica incarna con tanta forza di espressione non soltanto il senso della maestà ma anche quello della superiorità divina.
                 
Grande importanza ebbe il colosso crisoelefantino, creato da Fidia, del Dio Zeus, alto circa 12 metri e incluso tra le sette meraviglie del Mondo:
- Giardini pensili di Babilonia con le sue mura - Colosso di Rodi -
Tempio di Artemide a Efeso - Statua di Zeus Olimpia - Mausoleo Alicarnasso -
- Il Faro di Alessandria - Piramide di Giza -

Il compito era difficile perchè il tempio con la sua navata mediana stretta non era adatto al simulacro quasi 7 volte più grande del naturale. Sull'aspetto della statua, andata completamente distrutta, ci informano soltanto delle descrizioni e le figure sulle monete dell'Elide. Queste mostrano il Dio in un atteggiamento tranquillo, assiso sul suo alto trono, ma dell'ornamentazione straordinariamente varia e ricca non ne danno di certo l'idea.

Fidia seguiva il concetto di rappresentare il nume con maestosità semplice: corona e l'aquila posata sullo scettro sembravano bastare così il fulmine veniva completamente scartato. Ma egli circondava il Dio con una ricchezza di ornamenti che accentuavano i tratti principali della sua maestà.

Il mantello era ornato di gigli araldici, fiori simboleggianti il fulmine, lo scettro poi era ageminato, ottenendo effetti policromi mediante incrostazione di diversi metalli.
Il trono era costituito da oro, ebano e avorio con inserimento di pietre preziose, inferiormente era anche ornato con quadri di Paianios. Davanti aveva uno spazio lastricato in pietra nera che accresceva l'effetto coloristico aggiungendo un aspetto più ricercato rispetto alla statua crisoelefantina di Atena Parthenos scolpita anni prima sempre da Fidia.
Si può asserire che le numerose figure del trono accennavano alla forza virtuosa di Zeus e pochi erano gli accenni alla sua volontà punitiva. Nella base, la nascita di Afrodite in presenza degli Dei indicava il compimento della bellezza del mondo governato da Zeus alle cui grazie ed al cui ordine stabilito accennavano le sue figlie sulla spalliera del trono, le Charitas e le Horai.
Nel Dio stesso emergeva la benignità del dominatore che concede vittoria e grazia, parlava dai lineamenti del viso dimostrando l'unione di una clemenza benigna con una maestà capace di scuotere le cime dell'Olimpo.
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